top of page

RIFLESSIONI SULLA DISGRAFIA E SULLA RIEDUCAZIONE DELLA SCRITTURA

 

La disgrafia, secondo il legislatore, è una “difficoltà nella realizzazione grafica”, che limita fortemente la capacità di scrittura dell’individuo. Tale difficoltà non dipende da ritardi cognitivi, da deficit neurologici e da problematiche muscolari.

Si parla di disgrafia quando la scrittura risulta essere:

  • troppo lenta o

  • faticosa e dolorosa (a causa di ingiustificate contrazioni muscolari) o

  • illeggibile.

Oppure, come accade spesso, tutte queste caratteristiche si presentano contemporaneamente nella scrittura.

 Chi scrive male non sa spiegarsene il motivo, soprattutto se confronta il proprio limite  con l’altrui abilità grafomotoria. Lo studente disgrafico prova rigetto per lo scrivere, rimane indietro in classe, talvolta non svolge i compiti a casa ed in futuro non saprà prendere appunti alle superiori e all’università. Prova un senso di vergogna per la propria grafia e arriva a preferire di non scrivere affatto. Far ricopiare più volte un compito illeggibile ad un ragazzino disgrafico è inutile perché l’elaborato non potrà essere  più chiaro e l’esercizio contribuirà a rinforzare il disgusto per la scrittura e l’angoscia del dover scrivere.

Negli ultimi anni la scuola si è occupata dei disturbi dell’apprendimento, programmando interventi tecnici, temporali e valutativi diversificati per i ragazzi affetti da D.S.A. Per i disgrafici, ad esempio, si è introdotto l’utilizzo del personal computer in classe, la sostituzione di verifiche scritte con interrogazioni orali, la concessione di tempi prolungati, rispetto agli altri studenti, per la consegna degli elaborati scritti. Di recente, alcuni provveditorati agli studi hanno promosso l’utilizzo di penne computerizzate che scrivono, registrano e permettono il salvataggio dei dati in un pc, sviluppando progetti formativi per il corpo docente. Questi interventi hanno, da un lato, facilitato il lavoro in classe degli studenti ma dall’altro hanno evitato di affrontare e risolvere il problema della “brutta” grafia.

Il grafologo può fare molto per migliorare la leggibilità della scrittura, intervenendo in modo opportuno e personalizzato sugli elementi spaziali, formali e di pressione che maggiormente compromettono la chiarezza dello scritto.

Robert Olivaux  (Psicologo, Grafologo, fondatore del Groupement Graphothérapeutes Rééducateurs de l’Ecriture) diceva che il grafologo rieducatore  lavora con il singolo e “a fianco della scrittura”, rispettando la peculiarità di entrambi. Interviene sul rilassamento muscolare, sulla concentrazione e sulla fluidità del filo grafico, approntando gli accorgimenti più opportuni per interessare lo studente e migliorarne l’abilità grafomotoria.  L’obiettivo del grafologo-rieducatore non è approdare ad una splendida grafia, ma ottenere una grafia comprensibile a tutti, chiara, leggibile e organizzata.

La rieducazione o grafoterapia aiuta lo studente a leggersi e a farsi finalmente leggere senza fatica.

Tale risultato porterà un sensibile miglioramento su vari fronti, ad esempio:

- nella capacità di concentrazione;

- nell’apprendimento;

- nelle valutazioni scolastiche;

- nei rapporti relazionali con gli insegnanti, i compagni di classe e i familiari;

- nella gestione dell’ansia e della eventuale iperattività;

- nell’autostima dello studente, importantissima nella crescita della persona.

La rieducazione della scrittura si può dire veramente  terminata quando lo studente ha acquisito il piacere di scrivere.

pubblicato in data: 19.07.2016

POSSIBILITA’, LIMITI E APPLICAZIONI DELLA GRAFOLOGIA

 

La scrittura è un ”filo nero” che emerge dal bianco del foglio rivelando qualcosa di noi.

La mano è lo strumento del pensiero che dirige l’atto grafico: scrivere è un’azione complessa messa a punto dal cervello. Infatti, si può imparare a scrivere con la mano sinistra, con il piede, con la bocca, qualora sia diventato impossibile usare la mano destra.

In questi casi, una volta acquisita una certa maturità grafomotoria, la scrittura rivela la personalità dell’autore, anche se è stata vergata, ad esempio, con la bocca.

Analizzando la grafia è possibile avere informazioni sull’affettività, il modo di agire, il tipo di intelligenza, l’energia vitale, l’emotività, l’ansia, l’autostima ed altro ancora.

Non tutto si vede, ci sono dei limiti ben precisi da rispettare: il grafologo non può riconoscere, ad esempio, il sesso di chi scrive.

Ci sono uomini che lasciano sulla carta forme arrotondate, gentili, dilatate, delineando grafie dall’aria femminile e donne che scrivono in modo angoloso, duro, determinato.

Il grafologo non può riconoscere l’età anagrafica dell’autore, osservando la sua scrittura. Alcune grafie appartenenti a persone anziane sono vitali, piene di movimento, di slanci ed esprimono voglia di fare, dinamismo. Sono animate da una naturale spinta verso il futuro, come le due grafie sotto riportate, entrambe di signori oltre gli ottanta anni. Nonostante l’avanzata età anagrafica sono scritture “giovani”, entrambe lanciate con decisione verso la conquista del margine destro ed entrambe piegate a destra, rispetto al rigo di base.

La destra, nella simbologia spaziale di Max Pulver – fondatore della grafologia svizzera, rappresenta l’obiettivo, la metà da raggiungere, il futuro. Mentre la sinistra è il rifugio, la casa che protegge e consola, la famiglia, la tradizione, il passato.

Viceversa, vi sono grafie che fanno pensare ad autori già avanti negli anni, appartenenti a ventenni.

La grafologia non rivela la professione e gli studi effettuati.

Quindi, prima di stilare un’analisi di personalità, il professionista deve conoscere alcune informazioni “extragrafologiche” e cioè  il sesso, l’età, l’attività lavorativa e gli studi compiuti..

Chi è interessato a richiedere un profilo di personalità deve scrivere su un foglio bianco formato A4, non rigato e non quadrettato, un testo di dieci/quindici righe e apporre alla fine di esso la propria firma. Il testo deve essere “spontaneo”, quindi non copiato o dettato da un terzo. Per il grafologo è sufficiente la preparazione di una sola pagina in originale, con le caratteristiche ora descritte, oltre ai dati extragrafologici, per arrivare al profilo di una persona adulta. Non è necessaria la conoscenza diretta dell’autore della grafia o porre in essere un colloquio preliminare.

 Esiste uno stretto legame esistente tra personalità e scrittura: quando cambia la personalità dell’individuo, per i più svariati motivi, si osserva un cambiamento più o meno importante anche nella grafia.

La grafologia è una disciplina “umanistica”, indipendente dalla psicologia, che alla stessa può dare contributi significativi e seri. A torto è stata confusa con l’occultismo, l’astrologia, la cartomanzia e la lettura della mano, in realtà, è improntata ad un metodo rigoroso, che richiede attenzione e professionalità.

Quindi, perché chiedere una consulenza grafologica sulla propria scrittura?

Per imparare a conoscerci meglio, per approfondire aspetti della nostra personalità, mediante un approccio “indolore” e anche abbastanza “rapido”. Come sopra affermato, per il grafologo è sufficiente una pagina di scrittura firmata e poche informazioni ulteriori. Fra’ Girolamo Moretti, fondatore della grafologia italiana, ha scritto che in un giorno di analisi delle grafie dei bambini di una classe elementare, è riuscito a raccogliere le stesse informazioni fornite da uno psicologo nell’arco di un anno di colloqui e di lavoro.

Grazie ai risultati concreti ottenuti, la grafologia, ha un’applicazione pratica in molti ambiti professionali:

- in azienda per la selezione, l’avanzamento in carriera e la rotazione delle risorse umane;

- nell’ambito giudiziale per l’analisi di testamenti, lettere anonime e firme contestate;

- in medicina per fornire consulenze a psicoterapeuti e psicologi.

- nella scuola, in materia di orientamento scolastico e nella cura della disgrafia, oggi sempre più diffusa.

Si segnala, infine, un’affascinante applicazione della grafologia in campo storico: sempre più spesso viene utilizzata per l’analisi delle grafie di personaggi famosi (artisti, condottieri, politici) al fine di arricchirne il profilo caratteriale e la biografia.

pubblicato in data: 19.07.2016

IL MANDALA NELL’EDUCAZIONE DEL GESTO GRAFICO

 

 

In sanscrito la parola “mandala” significa “cerchio magico”. Il mandala è un diagramma circolare caratterizzato al suo interno da altre figure geometriche a forma di petali, ruote, stelle, occhi, quadrati, croci, serpenti avvolti attorno a un centro o disposti su sé stessi a spirale.

 

    

DELLA SCRITTURA:

Il cerchio è una figura piana delimitato da una linea chiusa, uguale a se stessa, senza inizio e senza fine e nei secoli è divenuto il simbolo dell’immutabilità, della perfezione e  della centralità.

Il cerchio rappresenta il cielo, in antitesi alla terra, la cui raffigurazione viene ad essere la forma del quadrato. Spesso i mandala sono caratterizzati da più cerchi e quadrati inscritti e circoscritti tra loro, nella creazione di un contesto organizzato in modo armonioso.

Nel buddismo e nell’induismo, il mandala ha un profondo significato religioso e spirituale. I monaci tibetani e quelli induisti, realizzavano i mandala sul pavimento, con finissime sabbie colorate e chicchi di riso, rispettando precise regole nell’accostamento dei colori, dei materiali e delle forme, secondo la tradizione lamaistica. I disegni venivano tracciati dai monaci con grande abilità, concentrazione e nell’arco di molte ore di lavoro; una volta ultimato, il mandala era spazzato via rapidamente a testimonianza della caducità delle cose e della vita. Questa rappresentazione grafica ha avuto e continua ad avere applicazioni pratiche, utili in diversi campi, come ad esempio, nella psicoanalisi e nella didattica.

Carl Gustav Jung (1875-1961) – psichiatra e psicoanalista svizzero - riteneva che i mandala avessero un effetto benefico e tranquillizzante sul paziente, poiché, opportunamente somministrati durante la terapia, trasformavano lo stato di caos e di angoscia in una condizione di ordine, tranquillità e consapevolezza.

L’unicità del mandala diviene il simbolo della rappresentazione del Sé, il centro della personalità inteso come fonte di energia a cui tutto è correlato ed ordinato. Jung si è interessato per anni ai mandala, studiandone la psicologia e lasciando molti scritti in materia.

I mandala vengono proposti  ad alunni e studenti delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie da insegnanti che ne hanno compreso i numerosi benefici.

Creare o semplicemente colorare un mandala già disegnato, ha un effetto tranquillizzante sui bambini particolarmente vivaci, aiuta a scaricare le tensioni e l’aggressività, “risolve” un momento di noia o di nervosismo e favorisce la creazione di un clima sereno all’interno del gruppo.

Nel mondo tecnologico e talvolta febbrile in cui viviamo, caratterizzato da una diffusa “ansia da prestazione”, colorare  un  mandala  offre  una  momentanea  oasi  di  relax;  la

struttura armoniosa e  prevalentemente curvilinea ha un effetto rilassante sul bambino che generalmente inizia dal centro e si allarga verso l’esterno nella stesura del colore.

Durante l’attività viene stimolata   la   fantasia e  la  capacità di  effettuare  precise  scelte

grafiche e pittoriche, con accostamenti di colore sempre diversi ed originali. La capacità

di scegliere con sicurezza tra le infinite possibili realizzazioni, sviluppa la consapevolezza di possedere fantasia e creatività e sollecita l’autostima dei bambini.

Il mandala spontaneo costituisce l’espressione verso l’esterno di emozioni, sentimenti e pensieri.

Con naturalezza, senza imposizioni da parte dell’insegnante, viene ad attivarsi la capacità di concentrazione, anche nei soggetti iperattivi.

Realizzare un mandala ha un effetto positivo sulla coordinazione occhio-mano e permette di sviluppare e potenziare la motricità fine. Infatti, stendere il colore con precisione nei vari spazi in cui il disegno è articolato, facendo attenzione a non uscire dai margini e nello stesso tempo realizzando accostamenti armoniosi, richiede una certa abilità.

L’insegnante, osservando i bambini al lavoro, mentre elogia le combinazioni cromatiche e l’originalità di ciascuno, ha la possibilità di correggere la tenuta dello strumento scrittorio, qualora non fosse ottimale, favorendo la così detta “prensione a pinza”, ove il pollice è opposto al dito indice e il medio sorregge la matita lateralmente.

Considerati i vantaggi sopra esposti, i rieducatori della scrittura utilizzano,  accanto ai  noti “tracciati scivolati” di Ajuraguerra,  anche i mandala, come esercizio di rilassamento fisico e mentale. Si tratta di uno strumento che non ha controindicazioni legati all’età: può essere somministrato oltre che ai bambini, ai preadolescenti e agli adolescenti.

Il rieducatore mette un sottofondo musicale rilassante, offre matite colorate e pastelli a cera (non pennarelli) oltre a numerosi mandala dai diversi disegni. Poi, invita il soggetto a scegliere con calma quello che maggiormente lo attira e a colorarlo come più gli piace. Non esiste, infatti, un modo giusto o sbagliato per eseguire la consegna.

Al termine del lavoro, il mandala deve essere appeso alla parete in modo che sia visibile durante la seduta e quelle successive.

Il recupero del gesto grafico risulta facilitato, non solo dal rilassamento muscolare,  ma  soprattutto dalla serenità, dal nuovo stato di benessere e dalla concentrazione conquistata dal soggetto che è chiamato ed eseguire i successivi esercizi di rieducazione della scrittura.

pubblicato in data: 19.07.2016

SUGGERIMENTI PER L’INSEGNAMENTO DELLA SCRITTURA E LA PREVENZIONE DELLA DISGRAFIA

 

 

Il crescente interesse per i DSA, l’evoluzione normativa, l’attività di sperimentazione, ricerca e studio delle associazioni grafologiche e dei rieducatori della scrittura, hanno permesso di individuare una serie di VALUTAZIONI, PROTOCOLLI ed AZIONI utili alla rieducazione e alla prevenzione della disgrafia.

Prevenire è senz’altro preferibile al successivo recupero delle abilità grafomotorie dei ragazzi e non vi è migliore sede della scuola primaria per la prevenzione della disgrafia, poiché in essa i bambini acquisiscono la capacità di scrivere.

In passato, la “calligrafia” o bella grafia era una vera e propria materia nel biennio delle “scuole elementari”, oggetto di severa valutazione e fonte di fatica, impegno e anche gratificazioni per gli alunni.

Prima di essere considerata un ostacolo alle personalizzazioni grafiche individuali, la calligrafia  ha avuto indubbiamente il merito di far apprendere la corretta costruzione morfologica delle lettere corsive ed inculcare l’amore per la bella scrittura.

Una prensione scorretta della “stilografica” (35-40 anni fa era lo strumento scrittorio per eccellenza) era impensabile, visto che la compostezza del corpo e della mano scrivente venivano insegnati ai bambini sin dai primi giorni di scuola.

Grazie alla sensibilità dei dirigenti scolastici, oggi i docenti mantengono nell’Istituto di appartenenza la propria autonomia, per quanto riguarda la metodologia da utilizzare per insegnare a scrivere, consolidata dall’esperienza. Tuttavia, i suggerimenti di seguito elencati, possono ben conciliarsi con l’attività specifica di ogni insegnante.

 

Quindi, per prevenire la disgrafia sarebbe utile:

            1) investire tempo per insegnare la “prensione a pinza”, funzionale alla scrittura. Si tratta di tempo ben investito e i frutti verranno raccolti a medio e lungo termine;

            2) osservare attentamente come il bambino sta seduto nel banco e le modalità con cui tiene  la penna. Studiare la posizione di dita, polso, mani, braccia, spalle, busto e gambe perché si scrive con tutto il corpo non solo con una mano;   

3) correggere sempre postura e prensione, tutti i giorni e più volte al giorno, se vengono individuate posizioni scorrette, mostrando di nuovo all’intera classe le correte posizioni;

            4) illustrare alcuni semplici esercizi per rilassare, distendere e rendere agili le dita. Sarebbe opportuno fare un paio di minuti di esercizi prima di iniziare a scrivere e poi nel corso della giornata, per evitare che la mano si stanchi e irrigidimenti muscolari;

            5) controllare la dimensione degli strumenti scrittori e l’astuccio. I bambini sono attratti da penne multicolori dal fusto enorme che costringono le dita ad uno sforzo eccessivo;

6) consigliare ai genitori l’acquisto di matite e penne dal fusto triangolare e di piccole dimensioni. Ad esempio, le matite colorate triangolari prodotte dalla Faber-Castelli in vendita nei supermercati e nelle cartolerie;

7) proporre un numero elevato di tracciati scivolati, non solo l’ultimo anno della scuola dell’infanzia e all’inizio della prima elementare ma durante tutto il biennio della scuola primaria;

8) ripristinare l’uso dei pastelli a cera, passati di moda ed invitare i bambini ad utilizzarli per colorare i tracciati scivolati;

9) utilizzate i maxi quaderni in formato A4 a quadretti in orizzontale per evitare che i bambini più piccoli debbano allungarsi sul banco per scrivere sulle prime righe, perdendo inevitabilmente la corretta postura; 

10) adottare un alfabetiere in cui ogni lettera evidenzi il movimento corretto per formare le lettere, dotato di frecce di direzione;

11) proporre alla classe un modello di scrittura alla volta. Infatti, insegnare contemporaneamente stampato e corsivo maiuscolo e minuscolo crea confusione ed un impegno maggiore per i bambini e i docenti;

12) dedicare più tempo al corsivo minuscolo rispetto agli altri modelli;

13) utilizzare la biro rossa per cerchiare le lettere vergate perfettamente, in modo che agli occhi del bambino sia evidenziato il risultato conseguito e non l’errore, anche se una sola lettera in tutta la pagina è perfetta;

14) non rimproverare pubblicamente il bambino che scrive male;

15) infine, NON DIRE MAI ad un allievo o ai suoi genitori che è privo di intelligenza.

In merito al punto che precede, si rammenta che il quoziente intellettivo in genere non viene misurato, salvo la presenza di malattie e disturbi e gli insegnanti non lo calcolano. Ricordo il caso di un bambino giudicato da uno dei suoi insegnanti come “uno che non ci arriva, troppo indietro mentalmente” – sono le testuali parole riferite alla madre durante un colloquio scolastico nella classe seconda della scuola primaria. In realtà, si trattava di uno studente dotato di un elevatissimo QI, calcolato successivamente da una neuropsichiatria infantile dell’Asl per un sospetto DSA, poi non riscontrato.

Com’è noto, l’intelligenza non è unica ma si colora di varie connotazioni. Basti pensare, ad esempio, all’intelligenza sintetica, analitica, logica, musicale, matematica, creativa, sulle quali si deve far leva, affinchè i bambini possano essere consapevoli delle proprie potenzialità.

pubblicato in data: 19.07.2016

LA FOTOCOPIA IN PERIZIA E NELLA CONSULENZA GRAFOLOGICA

 

L’esame di documenti in copia fotostatica non permette di accertare o escludere la presenza di interventi manipolativi, come ad esempio, raschiature, cancellature, abrasioni, scolorinature, lavaggi, trace di grafite, solchi ciechi o inchiostrati, inserimenti, correzioni, alterazioni del tratto e segni di sforzo grafico, come ad esempio, tremolii, soste, interruzioni incoerenti, riprese, saldature e collages.

La fotocopia impedisce altresì di escludere operazioni di copia  incolla variamente eseguite (sovrapposizioni di documenti diversi, alterazioni effettuate con scanner e computer, montaggi fotografici stampati e fotocopiati più volte ecc.) e comporta un’ampia gamma di limitazioni nell’analisi grafologica.

In particolare, si rammenta che la manoscrittura in originale ha caratteristiche tridimensionali (profondità, altezza e larghezza), mentre in fotocopia si rilevano due sole dimensioni, poiché va perduta la profondità del tracciato.  La pressione non si evidenzia a causa dell’appiattimento del ductus e dell’affievolimento o della totale perdita dei chiaroscuri. 

Se si ingrandisce una fotocopia, viene evidenziata la granulosità del tracciato che si manifesta ai bordi, granulosità  rarefatta, che  aumenta  progressivamente con  l’aumentare  del numero di  fotocopie successive. A causa di tale effetto, i grammi molto vicini si avvicinano ulteriormente, sino ad attaccarsi/addossarsi l’uno all’altro. Gli ovali aperti appaiono chiusi, anneriti. Il filo della scrittura diviene più spesso, i gesti finali acuminati e i grammi assottigliati scompaiono.                                                                         

In fotocopia si riscontrano purtroppo anche tracce di toner, piccoli punti sparsi sulla superficie del foglio, talvolta impercettibili ad occhio nudo, altre volte molto evidenti tanto da “alterare” il tracciato in esame.

I tratti ripassati, i ritocchi, gli accartocciamenti, le modulazioni pressorie altamente individualizzanti la mano scrivente, non si vedono in fotocopia, perché questa tecnica di riproduzione non coglie le sfumature ma  rende omogenea la massa grafica.

Infine, ma non ultimo per importanza, si rammenta che la copia fotostatica impedisce di individuare il tipo di carta e lo strumento scrittorio utilizzato, quindi anche il colore dell’inchiostro, l’eventuale utilizzo d’inchiostri differenti, facilmente riscontrabile se non a occhio nudo, con la strumentazione agli infrarossi.

La Corte di Cassazione ha affermato: “non può che risultare inattendibile un esame grafico condotto su una copia fotostatica, pur se eseguita con i sofisticati macchinari oggi disponibili, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati (ad esempio, la pressione della penna sulla carta) ed obiettivi (quali il tipo di carta usata, la gradazione di colore e le caratteristiche dell’inchiostro) che solo l’originale del documento, al contrario, può rivelare.” (Cassazione Civile Sez. II n. 1831 del 18/02/2000).

Il principio dell’inattendibilità dell’esame grafico su copia fotostatica è stato ribadito dalla Cassazione Civile nel 2009, in quanto la fotocopia  è “inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi" (Cassazione Civile Sez. II n. 1903 del 27/01/2009).

pubblicato in data: 11.08.2016

  • Facebook Social Icon
bottom of page